Su Montagna Longa nessun “progetto politico”

16 Maggio 2006 Commenti chiusi

Siamo venuti a conoscenza di fantomatici e deliranti progetti politici** che avrebbero come punto di partenza proprio la vicenda di Montagna Longa. Noi prendiamo le distanze da tutto ciò. Gli amici e parenti delle vittime che da tempo si occupano della faccenda di Montagna Longa non hanno mai avuto ne' mai avranno intenzione di costruire un progetto politico. Anzi è preoccupante che qualcuno si arroghi il diritto di immaginare un "progetto politico" in rappresentanza di vittime che non hanno possibilità di parola o di parenti che mai sono stati e su questo si sentiranno coinvolti. Ogni sforzo fatto è teso a restituire memoria, a documentare ed eventualmente a rintracciare elementi che possano essere utili alla riapertura dell'inchiesta. Nulla di più. 

David Bologna
Giuseppe e Antonio Cavataio
Maria Eleonora Fais
Pietro Fasu
Emanuela e Ginevra Genuardi
Nuccia Bosio Genuardi
Emanuele e Ferdinando Guccione
Mirna Ricci
Adriana e Daniela Scaccianoce

Ilde Scaglione

***

** L'annuncio di tali progetti è accompagnato da una campagna denigratoria e da pesanti illazioni a detrazione di alcuni parenti delle vittime. Campagna denigratoria che ha solo l'effetto di gettare altra nebbia su una vicenda della quale già non si è parlato per troppo tempo. E' possibile che rendere pubblico il materiale che è stato prodotto o scovato nel corso di tanti anni di ricerche possa scatenare questo delirio? E cos'e' tutto ciò – la concentrazione di bugie e illazioni – se non il tentativo di seppellire sotto una montagna di insulsi deliri e presunte verità "ufficiali" i dati e le informazioni che faticosamente da 35 anni tentano di trovare il giusto posto tra le pagine della storia? Ci sarebbe da non credere alla buona fede di talune persone perchè depistare è un'arte seria. Abbiamo imparato a conoscerla nel tempo perchè l'abbiamo subìta. Si fa con calma. Giocando sui paradossi. Ma qui non crediamo ai complotti. Non ci piace costruire teoremi. Perciò immaginiamo solo che in giro ci sia tanta gente che se si concentrasse sul cabaret renderebbe un gran servizio all'umanità. Ma già così  in ogni caso riesce a dire e fare cose che fanno sbellicare dalle risate. Ci mancavano proprio le creature il cui cammino è illuminato da chissà quale divinità che decidono di investire la loro passione da autentic* crociat* sulla vicenda di Montagna Longa. Ma anche in preda alle visioni mistiche non si può diffamare la gente. Preciso dunque a chi sostiene che la Signora Fais era il 5 maggio afflitta in contemplazione della croce di Montagna Longa che la signora proprio non c'era. Ogni cosa detta e divulgata circa presunte commozioni alla vista della signora sulla montagna è una delirante bugia. Ma a differenza di chi tenta di ritagliarsi una fetta di "paradiso" d'hoc terreno e chi fabbrica mistificazioni, qui si documentano dati. Per tutto il resto davvero non abbiamo tempo. Buon divertimento a tutt*, dunque. Noi, invece continuiamo a lavorare! [e.p.]

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Rapporto Peri [IV^ Parte]

15 Maggio 2006 Commenti chiusi

E che dire del fatto che all’Avv. Negri, per la consegna de riscatto di due miliardi per la liberazione del sequestrato PERFETTI, è stato imposto di ripercorrere più volte l’itinerario Lainate – Lodi – Varese?

Nel periodo della durata del sequestro di PERFETTI, il MICELI Salvatore era detenuto nelle carceri di Napoli, ma che necessità aveva, dopo essere stato scarcerato, allontanandosi arbitrariamente dal soggiorno obbligato di Tempio Pausania, di raggiungere il cugino GULLO Vito a Milano, egli che risulta compartecipe del sequestro di MARIANO Luigi?

Il MICELI, interrogato dal Giudice Morelli, giustificò il suo viaggio il 4 agosto a Milano con MARTINESI Antonio ed ALOISI Marcello asserendo di dover incontrarsi col cugino GULLO Vito(e forse anche con cugino GULLO Biagio) nipote di ZIZZO Salvatore per salutarlo (prima versione) e per farsi consegnare documenti falsi (seconda versione). I due cioè il Martinesi e l’Aloisi si recano, poi, in aereo da Milano a Zurigo, una delle città della Svizzera nota per il riciclaggio del denaro proveniente da sequestri di persona.

Il MARTINESI Antonio ed il COSTANTINI Gianfranco si recarono a Tempio Pausania per liberare il Miceli dal soggiorno obbligato lo stesso giorno od il giorno successivo ad altro viaggio fatto a Reggio Calabria dal Martinesi Antonio col cugino Martinesi Luigi per un abboccamento con esponenti dell’ambiente mafioso di SIDERNO, comune a Miceli, tra i quali Antonio MACRI’, noto capo mafia di Sidereo. Caso strano che il 25 maggio decorso i Carabinieri di Milano, tra 28 pregiudicati, arrestano MUIA Giuseppe, di anni 33, da Sidereo Marina (R.C.), in oggetto generalizzato, trovato in possesso di una banconota da £. 50.000 proveniente dal riscatto di PERFETTI Egidio.

Anche tale circostanza, cioè l’arresto del MUIA, prova i collegamenti tra le associazioni mafiose calabresi e siciliane nella consumazione dei sequestri e per la presenza del MARTINESI Antonio a Sidereo, di essi Martinesi coimputati, poi, col MICELI Salvatore, nel sequestro Mariano, si ha la riprova della nota finalizzazione anche del sequestro PERFETTI, stando alla confessione dello stesso MARTINESI Luigi circa il fine dell’autofinanziamento dei sequestri.

E’ quindi ipotizzabile che il viaggio dei due suddetti MARTINESI a Sidereo, nel luglio 1975 e, dopo, a Milano con MICELI ed a Zurigo non poteva avere altro scopo che la cooperazione nel riciclaggio del denaro del sequestro di PERFETTI Egidio.

In relazione a tale sequestro è necessario disporre una perizia comparativa tra il contenuto della lettera estorsiva di £. 7 miliardi, dattiloscritta, recante il timbro postale Milano 16-1-1975, pervenuta alla famiglia Perfetti tramite l’avv. Negri Gianfranco Clementi ed il contenuto delle lettere pervenute alla famiglia di MARIANO Luigi, scritte di pugno del sequestrato, spedite da Reggio Calabria, Catanzaro e Roma.

E’ necessario, inoltre, disporre una perizia fonetica comparativa tra tutte le registrazioni delle conversazioni telefoniche eseguite in occasione delle richieste dei riscatti dei quattro sequestri di persona in argomento per stabilire se gli interlocutori estorsori siano le stesse persone.

E’ noto che, in occasione del sequestro di CORLEO Luigi, i sequestratori abbandonarono su una autovettura, a Ponte Biddusa, sulla Statale Salemi-Marsala, due caricatori per mitra con complessive 60 cartucce recanti sul fondello dei bossoli la sola d’identificazione “Leon Beaux C-9 M-38 1966”. Poiché il Ministero della Difesa – Direzione artiglieria di TERRARMIMUNI ha fatto conoscere che le cartucce appena descritte, facenti parte di un lotto di 3600 cartucce, sono state distribuite alla direzione della Marina Militare di AULLA (Massa Carrara) e alle Legioni Carabinieri di Bologna, Palermo, Roma, Cagliari, Torino ed Udine, è stato richiesto, a ciascuno dei suddetti Comandi Militari, di comunicare se in data anteriore al 17/7/75 – data del sequestro del Corleo – siano state sottratte cartucce calibro 9 lungo per mitra con la citata sigla di identificazione, in loro danno.

Parallelamente è stato richiesto al G.I. Dr. Corrieri del Tribunale di Firenze di comunicare l’iscrizione completa incisa sulla base dei fondelli delle 339 cartucce cal. 9 rinvenute a Roma il 13/2/977 nell’abitazione di CONCUTELLI Pier Luigi all’atto del suo arresto nonché l’iscrizione incisa sulla base dei fondelli dei bossoli cal. 9 lungo per mitra rinvenuti in occasione dell’omicidio del Giudice Vittorio OCCORSIO.

Il dottor Corrieri, con nota n. 558/76 del 25-5-77 ha fatto conoscere che tutte le armi e le munizioni sequestrate al CONCUTELLI sono state versate alla Cancelleria dei corpi di reato del Tribunale di Roma che ha giudicato per direttissima il Concutelli stesso e, pertanto, non è in grado di specificare la scritta esistente sui fondelli dei bossoli e delle cartucce di cui sopra.

Analogo quesito è stato fatto al Presidente della 9^ Sezione Penale del tribunale di Roma.

I Comandi delle Legioni Carabinieri di Bologna, Palermo, Roma, Udine, Torino – Tranne quello di Cagliari – Uffici OAIO rispettivamente con note del 24-5-77, 7-7-77, 6-6-77, 30-6-77 hanno comunicato che non risulta alcun ammanco di cartucce cal. 9 con la sigla “Leon Beaux C-9-M-38-1966” verificatosi in data anteriore al 17-7-75.

La direzione del munizionamento della Marina Militare di AULLA con nota del 24-5-77 ha comunicato che presso quella direzione non si sono verificate sottrazioni di munizioni di qualsiasi calibro e tipo.

E’ stato anche richiesto al Ministero della Difesa di comunicare a quali reparti militari ed in quali date siano stati assegnati la pistola Beretta cal. 9 corto matricola 781761 ed il moschetto automatico mod. 38/A “Beretta cal. 9” matricola 448, sequestrati al CONCUTELLI Pier Luigi, nelle anzidette circostanze.

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Documenti allegati al Rapporto

14 Maggio 2006 Commenti chiusi

Documenti allegati al rapporto

 

 

 

COMMISSARIATO DI P.S. DI ALCAMO

 

N. 1000/2                                                                                             ALCAMO 18.11.1976

 

OGGETTO: Dr CORLEO Luigi da Salemi – patito sequestro di persona.

 

                      INDAGINI A CARICO DI:

                      CONCUTELLI Pier Luigi di Oscar e di Petrucci Emilia, nato a Roma il 3.6.1944, residente a Palermo, largo Parini n. 18, colpito da mandato di cattura.     

                      Latitante – Ricercato.

 

Raccomandata

            ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI                       MARSALA

E per conoscenza

            ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI                       TRAPANI

            ALLA QUESTURA DI                                                             TRAPANI

 

Si espongono, per dovere d’ufficio, sospetti che il soprageneralizzato CONCUTELLI Pier Luigi, colpito da ordine di cattura n. 336/75 emesso l’11-9-1975 dal Tribunale di Palermo e da mandato di cattura emesso il 29.3.1976 dal Tribunale di Taranto, per concorso in sequestro di persona, possa essere l’autore delle telefonate fatte ai congiunti del sequestrato CORLEO Luigi, in occasione delle trattative per la consegna del prezzo del riscatto, per i seguenti motivi:

         la spregiudicatezza messa in atto per la cattura del sequestrato, tipo militare, con diverse squadre di uomini su cinque auto, armati di mitra

         la spregiudicatezza nel minacciare, in forma indiretta, gli Organi di Polizia che sarebbero subito dopo sopraggiunti, lasciando due caricatori da 40 colpi carichi per mitra sul sedile posteriore di una autovettura, usata per il sequestro, ed abbandonata a Ponte Biddusa, sulla statale Marsala-Salemi;

         il tono militaresco, deciso, del capo dell’organizzazione criminosa usato nelle ripetute richieste dei venti miliardi per il riscatto del CORLEO, che fa apparire l’interlocutore, nelle registrazioni telefoniche, perentorio, cinico ed oltremodo spregiudicato;

         l’uso corretto, da parte di detto interlocutore, della lingua italiana al punto da usare, con priorità, la proposizione interrogativa indiretta al congiuntivo, tanto da far pensare che si trattasse, quantomeno, di una persona diplomata (il CONCUTELLI ha conseguito il diploma ed era studente universitario in agraria);

         l’accento non definibile di alcuna regione, ma sicuramente non siciliano di detto interlocutore (il CONCUTELLI è figlio di lombardo ed è stato ambientato a Roma);

         la conoscenza della zona Salemi-Castelvetrano da parte del CONCUTELLI Pier Luigi che, come noto, ha fatto parte di un campo paramilitare in quel di Menfi;

         la coincidenza non del tutto fortuita, che fonte confidenziale nei giorni decorsi, ha suggerito a personale del Nucleo Antiterroristico della Questura di Catania, di ricercare il latitante CONCUTELLI Pier Luigi nelle proprietà degli AGUECI, da Salemi, nelle contrade “Mendola-Aquila-Rampigallotto”, nel circondario di Salemi, nelle medesime contrade di proprietà degli stessi Agueci che, subito dopo il sequestro del CORLEO, sono stati indicati da un anonimo come località ove si sarebbe potuto trovare il sequestrato.

Da notare che nella contrada “Aquila”, nelle adiacenze del lago Trinità, furono rinvenute abbandonate due autovetture usate per il sequestro del CORLEO;

         la esosità del prezzo del riscatto in lire venti miliardi, irriducibile, mai sinora richiesti in delitti del genere che fa pensare ad una particolare destinazione di detta somma;

         la scoperta di un campo paramilitare in contrada “S. Anna” di Erice nel settembre 1974, con rinvenimento di bersagli circolari disegnati sui muri di un casolare rustico, di numerosi bossoli di arma corta, di valvole di radio rotte, di una catena per fissare al tronco di un albero una lunga antenna radio che faceva preludere e sospettare movimenti ed organizzazione di persone armate, spregiudicate, con intendimenti sovversivi della attuale forma di governo;

         il clima di terrore creato ad Alcamo sino a qualche mese prima del sequestro del CORLEO avvenuto il 17-7-1975 che investe sia la sfera politica, con gli omicidi del socialista PISCITELLO Antonino, consumato il 26-4-1975, del democristiano GUARRASI Francesco Paolo, assessore ai lavori pubblici, consumato il 28-5-1975, con una mancata strage in pieno centro abitato a seguito del rinvenimento, nella via COPERNICO di Alcamo, di 14 candelotti di dinamite non esplosi, la stessa notte dell’omicidio del Piscitello, per causa fortuita, sia la sfera degli Organi dello Stato con l’attentato alla vita di due Carabinieri viaggianti, di notte, verso le ore 2, su una autoradio in contrada “Canalotto” di Alcamo Marina il 22-6-1975, delitti questi rimasti tutti sinora senza gli autori identificati mentre di certo vi è soltanto che, a seguito di perizia balistica, il Piscitello ed il GUARRASI risultano uccisi con una stessa arma cal. 38.

         Come corollario al crescendo di tali gravi delitti che hanno sparso il terrore in queste zone e nei centri limitrofi si è verificato, poi, come anzidetto, il sequestro del CORLEO Luigi – notoriamente D.C. – ad opera di diverse squadre di uomini armati di mitra che agirono con un “colpo di mano” del tipo militare, non ricorrente in queste contrade;

         Allo scopo di derimere o meno i sospetti che scaturiscono dalle suesposte considerazioni che potrebbero essere validi e degni di essere presi in esame, soprattutto poiché il CONCUTELLI Pier Luigi è colpito da mandato di cattura per concorso in un sequestro di persona, consumato, nel corrente anno, in Puglia, pregasi codesta Autorità Giudiziaria voler disporre perizie fonetiche comparative tra le richieste telefoniche, incise sui nastri nel corso delle indagini dagli inquirenti, fatte da ignoto interlocutore per la consegna della somma per il riscatto del CORLEO e la voce del CONCUTELLI quando sarà catturato.

In via preliminare si suggerisce anche, per un giudizio orientativo, di fare ascoltare le voci dell’ignoto interlocutore registrate in occasione del sequestro CORLEO ad Ufficiali od Agenti di P.G. che, in un modo o in un altro, nel territorio della Repubblica, hanno avuto, nel passato, la possibilità di avvicinare il CONCUTELLI, conversare con lui e di ricordarne la voce.

 

IL V. QUESTORE A.

F.to Peri Dr. Giuseppe

 

                   Pcc

IL FUNZIONARIO DI P.S.

 

TRAPANI 31.8.1977.

 

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Attentato mafioso – dice la stampa inglese [articolo tratto da La Stampa sera del lunedì 8 maggio 1972]

13 Maggio 2006 Commenti chiusi

Tratto da “Stampa sera del lunedì 8 maggio 1972”

 

 

“ATTENTATO MAFIOSO”

DICE LA STAMPA INGLESE

 

Dal corrispondente

 

LONDRA, lunedì mattina. La possibilità che la mafia abbia causato il disastro aereo di Palermo è presentata con eccezionale rilievo dalla stampa britannica. Il “Sunday Express” vi dedicava sabato ampia parte della sua prima pagina e il “Sunday Telegraph” esponeva le varie ipotesi in una lunga corrispondenza da Roma. I giornali ricordavano che tra i passeggeri vi erano due uomini la cui “eliminazione” sarebbe stata certo gradita alla mafia, Ignazio Alcamo e Antonio Fontanelli.

Il magistrato Alcamo – si legge – era presidente di una speciale sezione antimafia del tribunale di Palermo. Il tenente colonnello Fontanelli comandava la Guardia di finanza della città, “ed era pertanto un nemico dei contrabbandieri”, molti dei quali, soprattutto i trafficanti di droga, sarebbero mafiosi. La polizia italiana, interrogata dai giornali inglesi, “non avrebbe escluso” la possibilità di un sabotaggio.

Secondo i giornali inglesi, gli investigatori di Roma e di Palermo cercheranno di stabilire fino a che punto erano giunte le indagini del “coraggioso magistrato”. Forse Alcamo “sapeva troppo” forse stava per rivelare importanti segreti. Un altro mistero su cui i giornali, di Londra dirigono la loro attenzione è quello costituito dal fatto che tutte le vittime erano prive di scarpe. E’ questa una delle misure previste nei casi di atterraggio pericoloso. Ma perché allora il pilota non segnalò per radio nulla?

 

m.c.

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Montagnalonga filmato inedito a ventidue anni dallo schianto [di Enrico Bellavia – tratto da la Repubblica – mercoledì 5 maggio 2004]

12 Maggio 2006 2 commenti

Sulla spianata del disastro i rottami fumano ancora. I corpi, o quel che resta, sono sparsi nel raggio di molte centinaia di metri. Sulla spianata del disastro si muovono i soccorritori, anche se da soccorrere non c’e’ proprio nessuno. Ci sono soldati e carabinieri. Ci sono impiegati dell’aeroporto, volontari e qualche curioso.

Sulla spianata del disastro l’indomani di quel 5 maggio ’72, compare una cinepresa. Spazia per tre minuti intorno al troncone di coda del DC 8 I-Diwb, impegnato sul volo AZ 112 Roma-Palermo, schiantatosi a Montagna Longa intorno alle 22.20 di una sera calda e senza vento. La cinepresa gira larga sui resti. Inquadra il carrello.

Punta in fondo sulla colonna di fumo, si sofferma sui pezzi di un’ala e sull’altra che è intatta. Da lontano riprende le sagome di due corpi. Sembrano integri. E gonfi.

Il filmato è a colori. Distingue, nella grana delle immagini riversate da un vecchio nastro a una videocassetta vhs, i grigi dei rottami, dal nero bruciato di suppellettili e altro, dal rosa che sono le vittime.

Il filmato è inedito. Ricompare oggi, esattamente a 22 anni di distanza, dal buio di una soffitta in cui l’orrore e il dolore lo hanno ricacciato. Ricompare nel giorno del ricordo della più grave tragedia aerea italiana, superata sul mesto calcolo delle sciagure solo da Linate.

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Lettera dei parenti delle vittime su Repubblica: Attendiamo risposte su Montagna Longa – 5 maggio 2005

11 Maggio 2006 Commenti chiusi

LA REPUBBLICA – 5 MAGGIO 2005

 

ATTENDIAMO RISPOSTE SU MONTAGNA LONGA

 

Ilde Scaglione

Maria Eleonora Fais

Adriana e Daniela Scaccianoce

e Pietro Faso

Palermo

 

 

Oggi è una triste giornata per tutti coloro che hanno a cuore la ricerca della verità. Ci sentiamo profondamente turbati da quello che i fatti di cronaca lasciano intendere. Vogliamo innanzitutto esprimere solidarietà alle vittime di Piazza Fontana che con tenacia in questi dolorosi 36 anni hanno rincorso la verità nelle aule dei tribunali.

La sentenza della Cassazione che annulla gli ergastoli del primo grado e condanna i parenti delle vittime al pagamento delle spese processuali sancisce la morte di una speranza.

Speranza che è anche quella di molti di noi, esiste un altro “buco nero” nella storia del nostro martoriato Paese, si chiama Montagnalonga e oggi ne ricorre il trentatreesimo anniversario.

Disastro o attentato? Siamo nel 1972, un attenta lettura di quel periodo storico non farebbe di certo escludere a cuore leggero la seconda ipotesi. I morti sono 115, è la più grande sciagura dell’aviazione civile italiana. Un DC8 Alitalia proveniente da Roma doveva atterrare all’aeroporto di Punta Raisi, alle 22.20. il cielo era terso, nessuna traccia di vento.

Anche per noi la giustizia non è stata clemente. I primi tre gradi del giudizio si concludono con l’assoluzione di tutti fuorché dei piloti. Vittime innocenti e calunniate, ingiustamente accusati di essere ubriachi e drogati, circostanza poi smentita dalla perizia tossicologica.

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Su Portella rimozione impossibile [di Giuseppe Casarrubea – La Repubblica – 2 aprile 2004]

10 Maggio 2006 Commenti chiusi

Leggendo la stampa siciliana di questi giorni non sarà sfuggito al lettore un articolo sull’estensione, da parte dell’Assemblea regionale, dei benefici previsti dalla legge per le vittime della mafia ai familiari dei caduti di Nassiriya.

L’autore scrive che a Sala d’Ercole i deputati, piuttosto che fare le cose sul serio, si sono dati alla recitazione delle farse, estendendo quei benefici anche ad altri morti, come quelli di Montagna Longa e Portella della Ginestra che con la tragedia irachena c’entrerebbero, e non a torto, come i cavoli a merenda. Perché non tutte le tragedie si possono accomunare e ogni storia è sempre, in un modo o nell’altro, un’altra storia. Ed è vero. Ma detto questo, non possiamo non capire il punto di vista dei parlamentari che volendo onorare il sacrificio dei nostri soldati a Nassiriya hanno pensato anche a quelle altre vittime, pur esse siciliane, immolate sull’altare della democrazia e dello Stato. Gente comune e lavoratori che lottarono per un mondo migliore o trovarono la morte semplicemente perché festeggiavano il primo maggio o perché qualcuno che doveva controllare, prevenire e intervenire, non lo fece. 11 morti per la festa dei lavoratori, il 1 maggio 1947 a Portella, 118 morti dentro un aereo esploso in volo e poi disintegratosi sulla cima di una montagna, di cui nessuno più ha voluto parlare.

In entrambi i casi non ci sono mai state indagini serie. Su Montagna Longa ebbe appena il tempo di avviarle il giudice Giuseppe Peri, che chiese, a sua protezione, un’auto blindata. Gli arrivò, invece, il trasferimento d’ufficio. Peri sapeva. Non ignorava che quel DC8 in volo da Roma a Punta Raisi, quel 5 maggio 1972, poteva essere stato oggetto di un sabotaggio da parte di forze terroristico-eversive. Queste, proprio in quegli anni, stringevano i loro rapporti con la mafia trapanese. I poteri criminali affinavano allora le loro tecniche e Concutelli e Junio Valerio Borghese erano impegnatissimi a organizzare campi paramilitari in Sicilia, snodo del traffico d’armi col Medio Oriente. Portella e Montagna Longa: piste non seguite, tragedie da dimenticare.

  Sono altre storie rispetto a quella di Nassiriiya, ma non sono meno impegnative e serie di questa. Soprattutto non autorizzano nessuno a fare della stupida ironia. Si possono capire le difficoltà a cogliere le relazioni tra alcuni fatti diversi. Ma non può essere consentito scherzare su queste sciagure e indicarle come ormai cancellate dalla memoria, ricordi d’altri tempi. Dimenticare è una colpa, è un brutto segnale per lo stesso consorzio civile. Il  tempo è giustiziere, lenisce le ferite, ma non cancella il crimine, non manda in prescrizione le stragi. Perciò a chi così disinvoltamente tratta il dolore e l’ingiustizia subita da centinaia di famiglie non ci sono risposte da dare. L’atteggiamento si commenta da sé. Denota che si ha un altro modo di concepire il mondo e l’etica rispetto a quello dei comuni mortali.

Da parte nostra, possiamo solo esprimere il desiderio che si segua ogni tanto quello che ancora oggi fanno gli ebrei con i criminali nazisti da sessant’anni in libertà nonostante i crimini commessi. Tutt’altro che disponibili a rimuovere il ricordo, temprati da secoli di storia, decisi a impedire che altri stermini possano accadere in virtu’ di una diffusa demenza culturale, memori del loro passato, gli ebrei hanno fatto della loro storia e della loro identità il fondamento del loro futuro. Le ragioni del loro passato spiegano oggi il loro presente, i loro comportamenti, anche quando si manifestano discutibili o erronei. Per questo non possiamo condividere un certo modo di pensare, il fatalismo, le facili rimozioni, la convinzione, insomma, che la storia non ha nulla da insegnarci. Invece l’invito di questo signore, la cui professionalità non voglio mettere in discussione, è di lasciare il ricordo di Portella tra quelli che in epoca borbonica videro le lotte per l’Unità nazionale. Roba d’altri tempi, a suo giudizio, remoti. Sepolti.

Falso. E c’è poco da scherzare.

Accomunare i caduti di Portella alla paleostoria del nostro Risorgimento, sarebbe un atto di lungimiranza culturale. Ma il nostro, al contrario, vuole attestare il tramonto definitivo delle vicende nazionali del primo Novecento, delle sue tragedie e delle sue conquiste. E questo è francamente non solo un atto di miopia culturale, ma anche un segno di stravaganza personale. Piuttosto che chiedersi se non sia il caso di estendere i benefici a quanti nell’Ottocento lottarono contro i borboni, sarebbe opportuno che egli pensasse che il fascismo non è mai morto, e che certi criminali che hanno fatto la nostra storia, sono ancora vivi e vegeti, come allora. Come quelli che il 27 ottobre 1972 uccisero – strana coincidenza di tempi- il giornalista de “L’Ora” Giovanni Spampinato, colpevole di avere indagato, proprio in quegli anni, sullo squadrismo fascista.

 

                  GIUSEPPE CASARRUBEA

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Il bandito Giuliano e la X Mas erano addestrati dalla Cia [di Salvatore Giannella – L’Europeo 2007 n.1]

8 Maggio 2006 Commenti chiusi

IL BANDITO GIULIANO E LA X MAS ERANO ADDESTRATI DALLA CIA

di Salvatore Giannella – L’Europeo 2007 n. 1

Portella della Ginestra primo atto dello stragismo in Italia? Dagli archivi dei servizi segreti americani, inglesi e italiani la conferma del ruolo dell’Oss (poi Cia) nell’Italia dal 1944. Obiettivo: mettere fuorilegge i comunisti, e creare una situazione di instabilità

 

La banda Giuliano era collegata con i militi della X Mas di Junio Valerio Borghese che operavano clandestinamente in Sicilia e in Italia: A Turiddu, sabotatore neofascista, arrivavano soldi e armi dall’America, grazie all’aiuto dell’Oss (il servizio segreto “padre” della Cia). E la strage di Portella della Ginestra, di cui il 1° maggio ricorre il 60° anniversario, va vista come “la madre di tutte le stragi”, quella che svela la formula ricorrente nelle vicende più sanguinarie del nostro Paese. C’è questo e altro nella marea di documenti raccolti dallo storico siciliano Giuseppe Casarrubea e dal ricercatore Mario J. Cereghino con il coordinamento di una storico di razza quale è Nicola Tranfaglia. In una casa liberty nel centro di Partini9co sta nascendo un archivio unico in Italia: riguarda la storia segreta della Sicilia e dell’Italia del dopoguerra. E’ una storia che nessuno ha narrato nei dettagli più nascosti, anche perché queste carte (consultabili da tutti a partire dal prossimo autunno quando l’archivio sarà pubblico) fino a pochi anni fa, in certi casi fino al 2006, erano sigillate negli scaffali dei servizi segreti americani, inglesi, italiani e sloveni. Al centro delle manovre occulte c’è lui, James Jesus Angleton, super-spia, prima a Roma e poi a Washington, dall’eloquente nome in codice:Artefice. E’ stato chiamato in mille modi: “Coldwarrior”, combattente della guerra fredda. Il super-falco. Anche “no Knock”, colui che non bussa alla Casa Bianca perché autorizzato a incontrare il presidente degli Stati Uniti a qualunque ora. Oppure “the ghost”, il fantasma, perché c’è anche quando non c’è”. Ma l’appellativo assegnatogli dal libro in uscita di Casarrubea e Cereghino Tango connection (Bompiani) non s’era mai sentito prima d’ora: “Mente eversiva numero 1 nell’Italia degli anni 1944-1947”. “Il nostro appellativo deriva dallo studio di migliaia di documenti degli archivi dell’intelligence di Washington e Londra, Roma e Lubiana”, dicono gli autori del libro. Angleton ha appena 27 anni quando assume l’incarico di capo dell’X-2, l’ufficio in Italia per il controspionaggio dell’Oss. E’ lui, l’Artefice, che mira a fare della giovane repubblica italiana, nel 1947, e in accordo con la dottrina Truman che scatena la guerra fredda tra Usaa e Urss, una “democrazia autoritaria” con il Pci fuorilegge. E’ lui a dirigere a Roma, a metà 1945, l’Oso, l’Office of Special Operations, una struttura più segreta del suo X-2 (tuttora i paragrafi che riguardano l’Oso sull’Italia di quegli anni, nel Nara, l’archivio statunitense al College Park, Maryland, sono oscurati perché coperti dal segreto di Stato). E’ sempre lui, Angleton, l’Artefice del salvataggio di Borghese (Milano, 10 maggio 1945).  Traveste Borghese da ufficiale americano e, a bordo di una jeep su cui sale anche Federico Amato (capo dell’Ufficio affari riservati del ministro dell’Interno dall’estate 1944, diventerà più popolare in seguito some esperto gastronomo dell’Espresso), lo porta a Roma per poi coinvolgere il “principe nero” e i suoi militi nella guerra contro le sinistre di Togliatti e Nenni. E’ sempre lui l’Artefice di una rete di agenti insospettabili, come il giornalista Mike Stern, brillante nello scrivere ma anche nello spiare per il Cic (controspionaggio dell’esercito statunitense) con il quale Salvatore Giuliano avrà incontri e misteriosi rapporti dal 1946. E’ a Stern che Turiddu, nel 1947, chiede rifornimenti di soldi e armi che arriveranno in massa dall’autunno del ’46, data in cui l’attività eversiva anticomunista riceve “luce verde” da Washington. “I gruppi monarchici hanno ricevuto dall’America del Nord ingentissime somme ed armi di ogni specie”. Non si tratta solo di gruppi monarchici:a quella data, 9 ottobre ’46, la fusione tra monarchici e fascisti è cosa fatta. Così, oltre alle armi, ai cospiratori e agli “squadroni della morte” neofascisti, arrivano milioni di dollari dall’Internazionale Nera che passano tramite banche amiche. In Italia è la Banca dell’Agricoltura a finanziare le bande fasciste: “Si è tenuto un incontro dei direttori della Banca dell’Agricoltura per discutere l’ammontare del supporto finanziario che dovrebbe essere dato al movimento militare qualunquista monarchico” (documento dell’MI5 inglese, 5 agosto 1947). E ad Angleton che fanno capo agenti speciali come il capitano della Marina Carlo Resio, uno dei passeggeri della jeep salva-Borghese, che dal 1946 frequenta l’aristocrazia nera romana, ufficiali infedeli, monarchici e boss neofascisti e mafiosi. E’ lui, sempre Angleton, l’Artefice della struttura gerarchica piramidale dei nuovi servizi segreti alleati a Roma, nel quartier generale di via Sicilia 59, che lo vede collocato al piano superiore. E’ ancora lui, Angleton, che tramite agenti italo-americani come Gorge Zappalà, Victor Barret, Raymond Rocca, Charles Siragusa e il capitano Philip J. Corso, organizza i clandestini fascisti armati (Fasci d’azione rivoluzionaria di Pino Romualdi, Squadre armate Mussolini, Esercito clandestino anticomunista). La sua azione sfocerà in iniziative violente (Portella in primis), che funzionano da innesco alla controffensiva anticomunista. Attenzione al capitano Corso: è il braccio destro di Angleton a Roma, è responsabile di Borghese prigioniero e, contemporaneamente, secondo documenti inglesi desecretati nel 2006, coinvolto nei complotti neofascisti, Si riunisce a Roma con i capi del clandestinismo nero  ma anche con componenti del secondo governo De Gasperi, come Angelo Corsi, sottosegretario all’Interno; Leone Santoro dello stesso ministero e Luigi Ferrari, capo della polizia.

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1947; il Movimento Sociale dietro la “Gladio” nera [di Vincenzo Vasile – tratto da L’Unità – 2 marzo 2007]

7 Maggio 2006 Commenti chiusi

1947: il Movimento sociale
dietro la «Gladio» nera
Negli archivi di Londra documenti dell’MI5 sulla costituzione
di una forza eversiva. Le tracce dei fondi del tesoro nazifascista

«’U PROFESSURI s’ammazzò», s'è impiccato.
Non è vero, ma tanto vale mettere in giro la voce, fare arrivare con il passaparola all’interessato, che non ha alcuna intenzione di suicidio, decine di trepidi e inconsapevoli messaggi di condoglianze.
Insomma:

meglio morto. Giuseppe Casarrubea, lo storico siciliano che ha riaperto la pagina ingiallita della strage di Portella della Ginestra e
della banda Giuliano, di cui fu vittima sessanta anni fa anche suo padre, ha ricevuto in questi giorni a Partinico (Palermo) il più classico  degli avvertimenti mafiosi. E s'è recato dalla polizia e per denunciare l'intimidazione, e per far sapere che è vivo e vegeto.«Se qualcuno pensa di incutermi paura – dice – si sbaglia di grosso. Da anni conduco una battaglia importante per ristabilire la verità sui troppi misteri che circondano la storia italiana dal 1943 al 1948». Ad accendere con ogni probabilità la miccia delle minacce è stata la presenza
di una troupe della trasmissione di Rai tre Chi l'ha visto, che la settimana scorsa ha «girato» con la consulenza di Casarrubea un bel
po' di materiali nelle «location» della prima strage di Stato. Casarrubea sta preparando anche l'apertura al pubblico di un archivio,
costituito da migliaia di carte, provenienti dagli archivi di Stato degli Stati Uniti, Gran Bretagna, Slovenia e Italia. E sta uscendo per Bompiani un suo volume, scritto assieme al ricercatore Mario Josè Cereghino, che reca il sottotitolo L'oro nazifascista, l'America Latina e la guerra al comunismo in Italia 1943-1947, in cui – dichiara – «traccio un'ipotesi finalmente plausibile su ciò che è avvenuto sessant'anni fa in Italia, e non solo ». Può apparire certamente singolare che i fantasmi della strategia della tensione e della Guerra Fredda si materializzino sotto forma di minacce di morte tanti anni dopo. Ma le ricerche di Casarrubea e Cereghino sembrano essere approdate ormai alla verifica di un unico filo nero che collega tanti misteri eversivi italiani, a partire dalla strage di Portella. In particolare, la ricerca ha gettato luce sui copiosi finanziamenti della rete eversiva italiana, frutto del tesoro nazifascista che dopo Stalingrado prese le
vie dell'America latina. E sull'implicazione del neofascismo «legale» nella trama che ha segnato decenni di recente storia italiana. In particolare un documento desecretato dai National Archives di Kew Gardens, Londra nel gennaio dell'anno scorso, rivela un episodio inedito: la costituzione sin dalla fine del 1947 di una sorta di «Gladio» nera ante litteram affidata in gestione al neonato Movimento
sociale. In un memorandum intitolato «Panorama della destra italiana del 13 settembre 1951», con la dicitura «segreto», l'MI5 – l'intelligence britannica – informa che «l'organizzazione della forza paramilitare clandestina dell'Msi ha preso corpo alla fine del 1947, grazie al generale Muratori, ex generale della Mvsn (Milizia volontaria della sicurezza nazionale). L'attuale comandante dell'organizzazione paramilitare dell'Msi è Gualasco, ex maggiore dell’esercito italiano. Il nucleo dell’organizzazione paramilitare dell'Msi è composto da ex ufficiali delle Brigate nere della Repubblica sociale, responsabili dell'organizzazione per regioni. I reclutamenti sono fatti tra: a) ex membri delle brigate nere; b) tra i ranghi della polizia. Tra questi molti sono convinti che la Pubblica sicurezza verrebbe meno in caso di guerra con la Russia, anche perché l'insurrezione interna dei comunisti darebbe via allo scoppio delle
ostilità.
Poco si sa di questa organizzazione anche se sono efficienti e posseggono una notevole forza. Le principali fonti degli armamenti
sono: a) depositi segreti di armi della Rsi e delle forze tedesche in Italia; b) Rifornimenti clandestini di armi fatti dalla polizia. Nel
caso dello scoppio delle ostilità con la Russia, per l'Msi sarebbe impossibile mantenere le posizioni nell'Italia settentrionale.
(…) L'attuale piano prevede un ritiro immediato dall'Italia del Nord per attestarsi sulla linea gotica.
(…) Anche gli uomini della ex Flottiglia Mas, particolarmente attivi nel pianificare il loro ruolo paramilitare, hanno scelto la
linea gotica come prima linea di difesa». Il generale della ex-milizia Ennio Muratori citato in questo dossier fu ricordato nel 25esimo
anniversario della nascita dell'Msi da Pino Romualdi come colui che lavorò al fianco di Nino Buttazzoni, braccio destro di
JunioValerio Borghese, alla ricostituzione unitaria delle varie frange del clandestinismo fascista in contatto con i servizi Alleati,
già sul finire della guerra in un organismo denominato «Senato».
E fu Muratori, assieme a Buttazzoni a costituire l'Eca (esercito anticomunista). Cioè un'organizzazione con spiccate attività
terroristiche, cui, secondo altre carte dei servizi di informazione e sicurezza italiani già pubblicate da Casarrubea, aderì lo stesso
bandito Giuliano proprio mentre imbracciava le armi contro i contadini a Portella.

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Il fascista Giuliano – i legami tra il bandito e l’estrema destra [di Attilio Bolzoni – tratto da La repubblica – sabato 28 aprile 2007]

6 Maggio 2006 Commenti chiusi

Dagli archivi americani e inglesi emergono i legami tra il bandito e l’estrema destra

IL FASCISTA GIULIANO
I rapporti con Borghese
e con le Squadre Armate Mussolini
preparavano una stagione di stragi
I documenti recuperati da Giuseppe
Casarrubea e Mario Cereghino
autori di “Tango Connection”

Della sua spericolata vita pensavamo ormai di conoscere tutto. E anche di quella sua morte, contrabbandata come effetto di una sparatoria.
In realtà una messa in scena per celare un omicidio premeditato, il primo delitto eccellente dell’Italia repubblicana. Dopo mezzo secolo siamo
però costretti a entrare in altre pieghe della storia, scoprire verità che ci avevano nascosto, seguire tortuosi percorsi che portano a generali, spie, gerarchi fascisti e nazisti. Lo sapevate che Salvatore Giuliano è stato anche un terrorista nero? Lo avreste mai immaginato che il bandito che si batteva per «la Sicilia ai siciliani» aveva anche il grado di «sottotenente dei parà» di Salò? Avevate mai sentito dire che fra le colline di Sagana,
il suo mitico quartiere generale, si addestravano fianco a fianco separatisti e commandos della Decima Mas? Ci sono carte del controspionaggio
americano e inglese (e anche del Sis italiano, il Servizio informazioni e sicurezza dal 1944 al 1949) che raccontano un’altra faccia di quel ragazzo
bruno di Montelepre, che svelano altre «attività» della sua banda, che ripescano i suoi sinistri rapporti con la «resistenza fascista». A cominciare dal
principe Junio Valerio Borghese.
Dai sicari delle Sam, le Squadre Armate Mussolini. Da alcuni uomini dell’«Internazionale Nera» riparati in Argentina dopo la guerra. Erano
tutti uniti dalla paura delle orde cosacche in piazza San Pietro, si erano messi insieme per fermare l’avanzata dei «rossi» in Italia. Gli inediti documenti sul bandito siciliano sono stati ritrovati negli Archivi Nazionali di College Park nel Maryland, in quelli del National Archives di Kew Gardens a Londra e all’Archivio centrale dello Stato all’Eur — tutti dossier desecretati fra il 1996 e il 2006 — e sono diventati l’impianto centrale di Tango Connection (Bompiani, pagg 200, euro 9) un libro che ricostruisce la strategia della tensione fin dai primi passi della Repubblica. L’hanno scritto uno storico e un ricercatore, Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino, già autori entrambi di studi sulle vicende siciliane degli anni ‘40 e ‘50 e sull’eversione
nera. Protagonista di quella sanguinosa stagione, tirato da tutte le parti, sapientemente manovrato, in quell’isola in mezzo al Mediterraneo tutti potevano fare affidamento su di lui. Prima costruirono un personaggio «cinematografico». Il «re» di Montelepre. Il bandito buono che ruba ai ricchi per dare ai poveri. Il Robin Hood siciliano. E poi lo usarono. Per le stragi. Per i saccheggi. Per gli assalti. Un piano che parte dalle scorrerie di Turiddu Giuliano per arrivare fino a Portella della Ginestra, la prima strage di Stato, sessantesimo anniversario che sarà ricordato fra pochi giorni. Quella
mattina — il 1º maggio 1947, dodici i morti, ventisette i feriti — fu accesa la miccia che avrebbe dovuto far esplodere la rivolta anticomunista in Italia.
In molti dossier recuperati a Londra e nel Maryland da Casarrubea e Cereghino, ci sono tracce del bandito in contatto stretto con la Decima Mas di Junio Valerio Borghese. In uno — è del luglio 1944, un report del Cic, il controspionaggio militare americano — si fa un elenco di «nuotatori paracadutisti» della Decima Mas a Salò: fra i nomi c’è quello del «sottotenente dei parà Giuliano» insieme ad altri siciliani di Monreale e di Partinico. Nella lista c’è anche Rodolfo Ceccacci, uno dei capi della Decima che organizzava le incursioni terroristiche nell’Italia già liberata. Un altro dossier — sempre del Cic — è del 25 marzo 1945 ed è firmato dal colonnello Hill Dillon. Parla di «un sottotenente dei parà Giuliano» che è sempre in compagnia
di siciliani «tutti all’interno di formazioni che si muovono per fare operazioni clandestine ». Poi c’è un «rapporto» dell’aprile del 1945 che individua
un «Giuliani» della Decima Mas, poi ancora i verbali di interrogatorio di un sabotatore repubblichino, il calabrese Pasquale Sidari. La sua è una vera
e propria confessione agli agenti americani. Racconta di essere sbarcato in Sicilia nel dicembre del 1944, di aver raggiunto i militi della Decima che «addestravano quelli della banda Giuliano», ricorda le loro attività nella base operativa che avevano sulle montagne alle spalle di Palermo.
E rivela Sidari: «I fratelli Console e Dante Magistrelli (erano tre istruttori militari inviati a Montelepre, ndr) si sono poi recati al Nord per riferire al
comando della Decima Mas sulle attività della banda». L’intelligence Usa di Salvatore Giuliano si fa questa idea: «Head of fascist band in the Palermo province». Capo di una banda fascista nella provincia di Palermo. Dopo i documenti Usa, in Tango Connection ci sono anche quelli inglesi dell’-MI 5 e quelli italiani del Sis. Gli uni e gli altri descrivono il bandito al servizio dei Far, i Fasci di Azione Rivoluzionaria.
Quelli inglesi — tutti del ‘46 — sostengono praticamente che l’Evis, l’Esercito volontario per l’indipendenza della Sicilia, e le Squadre Armate Mussolini avevano una linea comune d’azione. Quelli del Sis sono ancora più espliciti. Il 25 giugno 1947, scrivono gli 007 del nostro servizio segreto: «Salvatore Giuliano è a totale disposizione delle formazioni nere». Una carriera tutta con i gradi addosso quella del bandito: da «sottotenente dei parà» a «colonnello» dell’Evis. Racconta Casarrubea: «Nel Mezzogiorno prima dello sbarco degli angloamericani e nella prospettiva del crollo del fascismo, Benito Mussolini in persona aveva costituito un’organizzazione destinata a far durare il fascismo anche dopo la sua fine. Era distribuita
in tutto il territorio meridionale, una rete dove fin dal settembre del 1943 monarchici e mafiosi spinsero dentro il giovane Giuliano».
Le sue scorribande servirono ad alimentare quel clima di terrore che avrebbe preparato il terreno — aprendo la stagione delle stragi con Portella della
Ginestra — al golpe che volevano a Washington. E’ questa la tesi di Tango Connection. L’avevano progettato nell’autunno del 1946 negli Stati Uniti d’America. E a Roma l’avevano appoggiato pezzi grossi del Viminale, ex repubblichini e alcuni ufficiali dell’Arma dei carabinieri che avevano appena fondato l’Upa, l’Unione patriottica anticomunista. Era un’organizzazione clandestina che prendeva direttamente ordini da James Jesus Angleton, il capo dei servizi segreti americani a Roma. Tanti soldi erano già arrivati dal Sudamerica: da Buenos Aires. Era un pezzo del tesoro che i fedelissimi
di Hitler, dopo Stalingrado, avevano messo al sicuro. Oro. Titoli. Diamanti. Sterline. Una parte di quella fortuna nel ‘46 prese la via dell’Italia per finanziare ancora scorribande e attentati alle Camere del Lavoro, poi venne conservata anche nei forzieri della Banca dell’Agricoltura. I documenti
che riguardano l’istituto di credito saranno presto consegnati dagli autori di Tango Connection alla Procura della Repubblica di Milano.
I golpisti prima provarono con le stragi. Con l’innesco di Portella della Ginestra. Ma il Pci di Togliatti non cadde nella trappola, non reagì alle provocazioni del fronte antidemocratico. E un mese dopo Portella, il 31 maggio 1947, nacque il quarto governo De Gasperi. I comunisti erano fuori. E fuori sarebbero rimasti per quasi mezzo secolo. A Washington e a Roma pensarono che il colpo di stato non era più necessario.

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