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Archivio per la categoria ‘Rassegna Stampa’

Ecco chi c’e’ dietro le stragi/Quello strano provvedimento [di Maurizio Macaluso – Quarto Potere – 26 aprile 2007]

20 Dicembre 2006 Commenti chiusi

Il 5 maggio del 1972 un aereo precipitò sulle montagne di Palermo provocando 115 vittime. Alla vigilia del trentacinquesimo anniversario, l'ex estremista Alberto Stefano Volo ha deciso di uscire allo scoperto

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Ci sono i nomi di personaggi potenti, ci sono le prove del loro coinvolgimento nella strategia della tensione. La verità sugli anni bui che hanno sconvolto l'Italia è contenuta in un memoriale. Un documento esplosivo custodito in mani sicure in un luogo segreto. L'uomo che l' ha scritto è oggi un uomo vecchio e malato che chiede di essere dimenticato e lasciato in pace. Alberto Stefano Volo, ex estremista di destra, vive su una sedia a rotelle. In quel memoriale ha scritto tutto ciò che sa. Segreti inconfessabili che ancora oggi scuoterebbero i Palazzi del Potere. Se un giorno verrà ucciso il documento sarà consegnato all'autorità giudiziaria. È questo il patto segreto che ha fatto per avere salva la vita.

In questi anni Alberto Stefano Volo ha tentato di rifarsi una vita e di lasciarsi per sempre alle spalle queste vicende. Mai una parola o un semplice accenno al passato, a ciò che ha scritto in quel memoriale. Ora però ha deciso di uscire allo scoperto e di parlare. Una decisione sofferta assunta alla vigilia di un anniversario importante. Il 5 maggio di trentacinque anni fa un aereo di linea precipitò sulle montagne di Palermo pochi minuti prima dell'atterraggio. Otto membri dell'equipaggio e centoundici passeggeri persero la vita. Su quell'aereo avrebbe dovuto esserci anche Alberto Stefano Volo. Il giorno dopo il disastro il suo nome figurava nella lista delle vittime. L'ex estremista però non salì mai su quell'aereo. Alcuni minuti prima del decollo decise di posticipare la partenza. Secondo Maria Eleonora Fais, sorella di una delle vittime, che da alcuni anni indaga sulla vicenda, Alberto Stefano Volo sarebbe a  conoscenza di importanti segreti. "L'aereo è stato abbattuto", avrebbe rivelato l'ex estremista nel corso di un incontro riservato con la donna. Alberto Stefano Volo, però, nega.

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Nessun patto tra mafia e trame nere [di Maurizio Macaluso – Quarto Potere – 26 aprile 2007]

18 Dicembre 2006 Commenti chiusi

Trent'anni dopo il rapporto del commissario Peri continua a fare discutere. Marcello Immordino, figlio di un ex questore di Trapani ed amico del funzionario di polizia, fornisce una interessante chiave di lettura dei fatti

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"Dal dopoguerra ad oggi ogni volta che un magistrato o un investigatore è andato controcorrente è stato isolato. C'è una morte fisica. Un povero disgraziato si prende una raffica di pallottole. Tutti partecipano alla passerella dichiarandosi amici della buonanima quando in vita erano acerrimi nemici. E c'è una morte civile. Una persona viene isolata e messa nelle condizioni di non operare. E ciò che è accaduto a Giuseppe Peri".

Marcello Immordino sa quanto è difficile fare il poliziotto in Sicilia. Suo padre, Vincenzo, è stato un funzionario di polizia integerrimo. Negli anni Settanta è stato questore di Trapani. Nel 1980 non esitò a segnalare che uno dei funzionari della questura di Palermo era venuto meno ai suoi doveri. Anche Marcello Immordino è stato poliziotto. Ha condotto importanti indagini sulla criminalità.

Si è occupato di episodi riconducibili alle trame nere. Ha conosciuto Giuseppe Peri a Trapani nel periodo in cui suo padre era questore. Si sono rincontrati, alcuni anni dopo, a Palermo, dopo che Peri era stato trasferito nel capoluogo siciliano. "Era un grandissimo investigatore", dice. "Aveva un grande fiuto. Riusciva con grande facilità a cogliere ciò che si celava dietro ai fatti".

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Attacco al cuore dello stato [di Maurizio Macaluso – Quarto Potere]

17 Dicembre 2006 2 commenti

Tra il 1975 ed il 1976 un'ondata di violenza investì il territorio di Alcamo. Due personaggi politici e due carabinieri caddero sotto i colpi di spietati sicari. Secondo Giuseppe Peri, i delitti furono opera di terroristi

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Ogni sera, prima di rientrare casa, gli uomini politici di Alcamo fanno una passeggiata al corso. Stringono mani, incontrano amici e simpatizzanti. Ai tavoli dei bar, nella piazza, tra un caffé ed un aperitivo, si stringono alleanze e talvolta si ordiscono complotti. Antonio Piscitello non rinunciava mai alla sua passeggiata al corso. Quarantacinque anni, sposato e padre di un figlio, indipendente di sinistra, era un politico assai noto ad Alcamo. La sera del 26 aprile del 1975 due sicari lo sorpresero uccidendolo con diversi colpi di pistola. Un delitto che sconvolse il territorio di Alcamo, in cui negli anni Settanta si verificarono numerosi omicidi ed attentati rimasti insoluti. L'uccisione dell'ex consigliere sarebbe maturata nell'ambito di una strategia della tensione ordita da gruppi di estrema destra con la complicità della mafia con il fine di destabilizzare il Paese ed impedire l'avanzata dei comunisti.

L'ipotesi è contenuta in un rapporto del commissario Giuseppe Peri che diresse in quegli anni il commissariato di Alcamo indagando su gravi fatti di sangue. Erano anni difficili. In diverse province della Sicilia erano avvenuti attentati terroristici. Alcamo era il crocevia di traffici illeciti in cui venivano stretti accordi ed alleanze ancora oggi poco chiari. Antonio Piscitello era molto conosciuto in città. Nel 1971 aveva fondato l'Unione Lavoratori Alcamesi. Presentatosi alle amministrative con una lista civica, era riuscito ad ottenere ampi consensi approdando in consiglio.

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Sembrava esplosivo ma era marmellata/La mafia non c’entra [di Maurizio Macaluso – Quarto Potere]

17 Dicembre 2006 Commenti chiusi

Un pregiudicato alcamese, Nicolò Ruisi, fu arrestato nel 1974 a La Spezia, con l'accusa di detenzione di esplosivo. Secondo gli inquirenti, l'ordigno doveva servire per compiere un attentato terroristico 

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Una valigia piena diesplosivo pronta a saltare in aria. Nicolò Ruisi, pregiudicato alcamese legato all'estrema destra, viene fermato nel 1974 dalla polizia a La Spezia. E' in possesso di un ordigno. Secondo la stampa, intendeva compiere un attentato. Inquirenti e politici però si affrettano a smentire negando ogni suo legame con gruppi terroristici dell'estrema destra. Trentatré anni dopo questa vicenda non è ancora stata chiarita. Sospetti ed ipotesi s'intrecciano con le trame nere che hanno scosso in quegli anni l'Italia. Erano anni terribili. In numerose città italiane si erano verificati attentati ed omicidi. Il 28 maggio del 1974 una bomba esplose in Piazza della Loggia, a Brescia, durante una manifestazione sindacale, provocando otto morti e novantaquattro feriti. Il 4 agosto un altro ordigno piazzato su un treno diretto da Roma a Monaco provocò dodici morti e centocinque feriti. Anche in Liguria il clima era teso.

Il 28 settembre a Genova due militanti dell'estrema destra rimasero feriti nell'esplosione di una bomba che stavano preparando. Il 9 novembre un ordigno esplose in un ufficio pubblico di Savona senza provocare fortunatamente vittime. Tre giorni dopo un'altra bomba esplose in una scuola. Il 16 novembre, nella stessa città, alcuni terroristi fecero saltare un tratto dei binari poco prima dell'arrivo di un treno. Anche in questi due casi non si registrarono vittime. Quattro giorni dopo però i terroristi alzarono il tiro facendo saltare un intero condominio nel centro di Savona, provocando due morti e numerosi feriti. La polizia cercava di fronteggiare l'offensiva dei terroristi tentando di prevenire qualunque attentato.

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Attentato mafioso – dice la stampa inglese [articolo tratto da La Stampa sera del lunedì 8 maggio 1972]

13 Maggio 2006 Commenti chiusi

Tratto da “Stampa sera del lunedì 8 maggio 1972”

 

 

“ATTENTATO MAFIOSO”

DICE LA STAMPA INGLESE

 

Dal corrispondente

 

LONDRA, lunedì mattina. La possibilità che la mafia abbia causato il disastro aereo di Palermo è presentata con eccezionale rilievo dalla stampa britannica. Il “Sunday Express” vi dedicava sabato ampia parte della sua prima pagina e il “Sunday Telegraph” esponeva le varie ipotesi in una lunga corrispondenza da Roma. I giornali ricordavano che tra i passeggeri vi erano due uomini la cui “eliminazione” sarebbe stata certo gradita alla mafia, Ignazio Alcamo e Antonio Fontanelli.

Il magistrato Alcamo – si legge – era presidente di una speciale sezione antimafia del tribunale di Palermo. Il tenente colonnello Fontanelli comandava la Guardia di finanza della città, “ed era pertanto un nemico dei contrabbandieri”, molti dei quali, soprattutto i trafficanti di droga, sarebbero mafiosi. La polizia italiana, interrogata dai giornali inglesi, “non avrebbe escluso” la possibilità di un sabotaggio.

Secondo i giornali inglesi, gli investigatori di Roma e di Palermo cercheranno di stabilire fino a che punto erano giunte le indagini del “coraggioso magistrato”. Forse Alcamo “sapeva troppo” forse stava per rivelare importanti segreti. Un altro mistero su cui i giornali, di Londra dirigono la loro attenzione è quello costituito dal fatto che tutte le vittime erano prive di scarpe. E’ questa una delle misure previste nei casi di atterraggio pericoloso. Ma perché allora il pilota non segnalò per radio nulla?

 

m.c.

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Montagnalonga filmato inedito a ventidue anni dallo schianto [di Enrico Bellavia – tratto da la Repubblica – mercoledì 5 maggio 2004]

12 Maggio 2006 2 commenti

Sulla spianata del disastro i rottami fumano ancora. I corpi, o quel che resta, sono sparsi nel raggio di molte centinaia di metri. Sulla spianata del disastro si muovono i soccorritori, anche se da soccorrere non c’e’ proprio nessuno. Ci sono soldati e carabinieri. Ci sono impiegati dell’aeroporto, volontari e qualche curioso.

Sulla spianata del disastro l’indomani di quel 5 maggio ’72, compare una cinepresa. Spazia per tre minuti intorno al troncone di coda del DC 8 I-Diwb, impegnato sul volo AZ 112 Roma-Palermo, schiantatosi a Montagna Longa intorno alle 22.20 di una sera calda e senza vento. La cinepresa gira larga sui resti. Inquadra il carrello.

Punta in fondo sulla colonna di fumo, si sofferma sui pezzi di un’ala e sull’altra che è intatta. Da lontano riprende le sagome di due corpi. Sembrano integri. E gonfi.

Il filmato è a colori. Distingue, nella grana delle immagini riversate da un vecchio nastro a una videocassetta vhs, i grigi dei rottami, dal nero bruciato di suppellettili e altro, dal rosa che sono le vittime.

Il filmato è inedito. Ricompare oggi, esattamente a 22 anni di distanza, dal buio di una soffitta in cui l’orrore e il dolore lo hanno ricacciato. Ricompare nel giorno del ricordo della più grave tragedia aerea italiana, superata sul mesto calcolo delle sciagure solo da Linate.

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Lettera dei parenti delle vittime su Repubblica: Attendiamo risposte su Montagna Longa – 5 maggio 2005

11 Maggio 2006 Commenti chiusi

LA REPUBBLICA – 5 MAGGIO 2005

 

ATTENDIAMO RISPOSTE SU MONTAGNA LONGA

 

Ilde Scaglione

Maria Eleonora Fais

Adriana e Daniela Scaccianoce

e Pietro Faso

Palermo

 

 

Oggi è una triste giornata per tutti coloro che hanno a cuore la ricerca della verità. Ci sentiamo profondamente turbati da quello che i fatti di cronaca lasciano intendere. Vogliamo innanzitutto esprimere solidarietà alle vittime di Piazza Fontana che con tenacia in questi dolorosi 36 anni hanno rincorso la verità nelle aule dei tribunali.

La sentenza della Cassazione che annulla gli ergastoli del primo grado e condanna i parenti delle vittime al pagamento delle spese processuali sancisce la morte di una speranza.

Speranza che è anche quella di molti di noi, esiste un altro “buco nero” nella storia del nostro martoriato Paese, si chiama Montagnalonga e oggi ne ricorre il trentatreesimo anniversario.

Disastro o attentato? Siamo nel 1972, un attenta lettura di quel periodo storico non farebbe di certo escludere a cuore leggero la seconda ipotesi. I morti sono 115, è la più grande sciagura dell’aviazione civile italiana. Un DC8 Alitalia proveniente da Roma doveva atterrare all’aeroporto di Punta Raisi, alle 22.20. il cielo era terso, nessuna traccia di vento.

Anche per noi la giustizia non è stata clemente. I primi tre gradi del giudizio si concludono con l’assoluzione di tutti fuorché dei piloti. Vittime innocenti e calunniate, ingiustamente accusati di essere ubriachi e drogati, circostanza poi smentita dalla perizia tossicologica.

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Su Portella rimozione impossibile [di Giuseppe Casarrubea – La Repubblica – 2 aprile 2004]

10 Maggio 2006 Commenti chiusi

Leggendo la stampa siciliana di questi giorni non sarà sfuggito al lettore un articolo sull’estensione, da parte dell’Assemblea regionale, dei benefici previsti dalla legge per le vittime della mafia ai familiari dei caduti di Nassiriya.

L’autore scrive che a Sala d’Ercole i deputati, piuttosto che fare le cose sul serio, si sono dati alla recitazione delle farse, estendendo quei benefici anche ad altri morti, come quelli di Montagna Longa e Portella della Ginestra che con la tragedia irachena c’entrerebbero, e non a torto, come i cavoli a merenda. Perché non tutte le tragedie si possono accomunare e ogni storia è sempre, in un modo o nell’altro, un’altra storia. Ed è vero. Ma detto questo, non possiamo non capire il punto di vista dei parlamentari che volendo onorare il sacrificio dei nostri soldati a Nassiriya hanno pensato anche a quelle altre vittime, pur esse siciliane, immolate sull’altare della democrazia e dello Stato. Gente comune e lavoratori che lottarono per un mondo migliore o trovarono la morte semplicemente perché festeggiavano il primo maggio o perché qualcuno che doveva controllare, prevenire e intervenire, non lo fece. 11 morti per la festa dei lavoratori, il 1 maggio 1947 a Portella, 118 morti dentro un aereo esploso in volo e poi disintegratosi sulla cima di una montagna, di cui nessuno più ha voluto parlare.

In entrambi i casi non ci sono mai state indagini serie. Su Montagna Longa ebbe appena il tempo di avviarle il giudice Giuseppe Peri, che chiese, a sua protezione, un’auto blindata. Gli arrivò, invece, il trasferimento d’ufficio. Peri sapeva. Non ignorava che quel DC8 in volo da Roma a Punta Raisi, quel 5 maggio 1972, poteva essere stato oggetto di un sabotaggio da parte di forze terroristico-eversive. Queste, proprio in quegli anni, stringevano i loro rapporti con la mafia trapanese. I poteri criminali affinavano allora le loro tecniche e Concutelli e Junio Valerio Borghese erano impegnatissimi a organizzare campi paramilitari in Sicilia, snodo del traffico d’armi col Medio Oriente. Portella e Montagna Longa: piste non seguite, tragedie da dimenticare.

  Sono altre storie rispetto a quella di Nassiriiya, ma non sono meno impegnative e serie di questa. Soprattutto non autorizzano nessuno a fare della stupida ironia. Si possono capire le difficoltà a cogliere le relazioni tra alcuni fatti diversi. Ma non può essere consentito scherzare su queste sciagure e indicarle come ormai cancellate dalla memoria, ricordi d’altri tempi. Dimenticare è una colpa, è un brutto segnale per lo stesso consorzio civile. Il  tempo è giustiziere, lenisce le ferite, ma non cancella il crimine, non manda in prescrizione le stragi. Perciò a chi così disinvoltamente tratta il dolore e l’ingiustizia subita da centinaia di famiglie non ci sono risposte da dare. L’atteggiamento si commenta da sé. Denota che si ha un altro modo di concepire il mondo e l’etica rispetto a quello dei comuni mortali.

Da parte nostra, possiamo solo esprimere il desiderio che si segua ogni tanto quello che ancora oggi fanno gli ebrei con i criminali nazisti da sessant’anni in libertà nonostante i crimini commessi. Tutt’altro che disponibili a rimuovere il ricordo, temprati da secoli di storia, decisi a impedire che altri stermini possano accadere in virtu’ di una diffusa demenza culturale, memori del loro passato, gli ebrei hanno fatto della loro storia e della loro identità il fondamento del loro futuro. Le ragioni del loro passato spiegano oggi il loro presente, i loro comportamenti, anche quando si manifestano discutibili o erronei. Per questo non possiamo condividere un certo modo di pensare, il fatalismo, le facili rimozioni, la convinzione, insomma, che la storia non ha nulla da insegnarci. Invece l’invito di questo signore, la cui professionalità non voglio mettere in discussione, è di lasciare il ricordo di Portella tra quelli che in epoca borbonica videro le lotte per l’Unità nazionale. Roba d’altri tempi, a suo giudizio, remoti. Sepolti.

Falso. E c’è poco da scherzare.

Accomunare i caduti di Portella alla paleostoria del nostro Risorgimento, sarebbe un atto di lungimiranza culturale. Ma il nostro, al contrario, vuole attestare il tramonto definitivo delle vicende nazionali del primo Novecento, delle sue tragedie e delle sue conquiste. E questo è francamente non solo un atto di miopia culturale, ma anche un segno di stravaganza personale. Piuttosto che chiedersi se non sia il caso di estendere i benefici a quanti nell’Ottocento lottarono contro i borboni, sarebbe opportuno che egli pensasse che il fascismo non è mai morto, e che certi criminali che hanno fatto la nostra storia, sono ancora vivi e vegeti, come allora. Come quelli che il 27 ottobre 1972 uccisero – strana coincidenza di tempi- il giornalista de “L’Ora” Giovanni Spampinato, colpevole di avere indagato, proprio in quegli anni, sullo squadrismo fascista.

 

                  GIUSEPPE CASARRUBEA

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