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Nessun patto tra mafia e trame nere [di Maurizio Macaluso – Quarto Potere – 26 aprile 2007]

18 Dicembre 2006

Trent'anni dopo il rapporto del commissario Peri continua a fare discutere. Marcello Immordino, figlio di un ex questore di Trapani ed amico del funzionario di polizia, fornisce una interessante chiave di lettura dei fatti

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"Dal dopoguerra ad oggi ogni volta che un magistrato o un investigatore è andato controcorrente è stato isolato. C'è una morte fisica. Un povero disgraziato si prende una raffica di pallottole. Tutti partecipano alla passerella dichiarandosi amici della buonanima quando in vita erano acerrimi nemici. E c'è una morte civile. Una persona viene isolata e messa nelle condizioni di non operare. E ciò che è accaduto a Giuseppe Peri".

Marcello Immordino sa quanto è difficile fare il poliziotto in Sicilia. Suo padre, Vincenzo, è stato un funzionario di polizia integerrimo. Negli anni Settanta è stato questore di Trapani. Nel 1980 non esitò a segnalare che uno dei funzionari della questura di Palermo era venuto meno ai suoi doveri. Anche Marcello Immordino è stato poliziotto. Ha condotto importanti indagini sulla criminalità.

Si è occupato di episodi riconducibili alle trame nere. Ha conosciuto Giuseppe Peri a Trapani nel periodo in cui suo padre era questore. Si sono rincontrati, alcuni anni dopo, a Palermo, dopo che Peri era stato trasferito nel capoluogo siciliano. "Era un grandissimo investigatore", dice. "Aveva un grande fiuto. Riusciva con grande facilità a cogliere ciò che si celava dietro ai fatti".

Indagando sul sequestro dell'esattore Luigi Corleo, suocero di Ignazio Salvo, ed altri tre rapimenti, Giuseppe Peri arrivò ad ipotizzare che i sequestri erano stati effettuati da estremisti di destra con la complicità della mafia per finanziare l'attività eversiva. Il rapporto, a firma del funzionario di polizia, non fu ben accolto però dai superiori. Giuseppe Peri fu accusato di essere un visionario e dopo alcuni anni fu trasferito a Palermo e relegato in un ufficio della polizia criminale con nessuna mansione investigativa.

"Credo che la sua intuizione fosse giusta", dice Marcello Immordino. "Trapani era in quegli anni il crocevia di traffici illeciti. C'erano personaggi mafiosi potenti. C'erano logge massoniche. C'erano servizi segreti deviati. La mafia locale poteva contare su importanti collegamenti con gli Stati Uniti dove erano presenti tante comunità di emigranti di origine trapanese. Giuseppe Peri però non è riuscito ad andare oltre la sua intuizione ed a raccogliere prove a supporto della sua tesi. Credo che il suo errore sia stato quello di isolarsi. Lavorava da solo. Non parlava con i superiori, non si consultava con nessuno. Se avesse lavorato in sinergia con altri forse sarebbe riuscito a concretizzare tutti i suoi sforzi e a trovare le necessarie prove. Anche se, comunque, non credo che sia stata tutta colpa di Giuseppe Peri. Erano anni difficili. La situazione politica e sociale era perennemente instabile. Non c'era alcuna collaborazione tra gli investigatori. Ogni Procura era una piccola contea che faceva capo al procuratore del posto. Anche poliziotti e carabinieri non collaboravano. Non c'era alcuno scambio di informazioni e ciò impediva spesso agli investigatori di raggiungere importanti risultati. Giuseppe Peri ha avuto il grande merito di indagare su fatti locali con una visione che andava oltre i confini della provincia".

Indagando sui quattro rapimenti, Giuseppe Peri arrivò ad ipotizzare che anche alcune stragi ed omicidi che avevano insanguinato negli anni Settanta la Sicilia occidentale erano opera di terroristi di estrema destra. Una strategia della tensione iniziata con l'omicidio del procuratore della Repubblica Pietro Scaglione, assassinato il 5 maggio del 1971 a Palermo assieme all'autista Antonino Lo Russo, e proseguita con altri orrendi crimini. Un anno dopo quell'agguato, un aereo di linea precipitò mentre stava atterrando presso l'aeroporto di Punta Raisi. Sette membri dell'equipaggio e centotto passeggeri persero la vita nel disastro. Le indagini erano ancora in corso. Gli inquirenti avevano scartato la pista dell'attentato propendendo per un errore dei piloti. Giuseppe Peri però formulò un'ipotesi contrastante. Sostenne che l'aereo era stato fatto esplodere. Secondo il funzionario di polizia la bomba avrebbe dovuto saltare in aria dopo l'atterraggio ma un imprevedibile ritardo aveva fatto scombussolato i piani dei terroristi provocando anche la morte dell'attentatore. Il rapporto, inviato al giudice istruttore di Catania Sebastiano Cacciatore, che indagava sul disastro aereo, non fu mai neanche inserito nel fascicolo dell'inchiesta.

I familiari delle vittime vennero a conoscenza della sua esistenza soltanto molti anni dopo il disastro. "Non so perché non fu inserito nel fascicolo", dice Marcello Immordino. "Certo sembra strano ma non so fornire alcuna spiegazione. Ho comunque sempre pensato che quel  disastro sia stato un incidente. L'aeroporto di Palermo era in quegli anni in condizioni disastrose. Certo è anche vero che non si è mai indagato su piste alternative a quella dell'incidente". Giuseppe Peri si occupò anche di un altro importante caso di cronaca. L'uccisione dell'appuntato Salvatore Falcetta e del carabiniere Carmine Apuzzo, assassinati nella notte del 26 gennaio del 1976 ad Alcamo Marina. Il funzionario di polizia ipotizzò che anche questa vicenda fosse opera di terroristi di estrema destra.

"Si tratta solo di ipotesi", dice Marcello Immordino. "In quegli anni è comunque certo che a Trapani operavano degli estremisti. Nella primavera del 1974, alle pendici di Erice, era stato scoperto un campo paramilitare". Sei mesi dopo, il 17 dicembre del 1974, durante un'audizione dinanzi alla Commissione parlamentare antimafia, il questore Vincenzo Immordino escluse però la presenza di legami tra mafia ed estremisti di destra. "Nulla è dato riscontrare, in provincia di Trapani, in ordine ad un collegamento fra ambienti mafiosi e trame nere", disse il funzionario di polizia. "È vero", dice Marcello Immordino. "Non c'era un accordo tra mafia e terroristi. Gli estremisti pensavano di potere sfruttare la mafia. I boss però non avevano alcun interesse a destituire il governo perché quella situazione instabile permetteva all'organizzazione di prosperare. C'erano dei contatti occasionali ma nessuna strategia comune. Giuseppe Peri ha visto giusto. Ha avuto delle intuizioni felicissime ma temo che, come accade a tanti investigatori, sia incappato in fatti verosimili ma non aderenti alla realtà".

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